Il volto

di Paola Macelloni

Una sera li sentii gridare, anzi era lui a farlo, di lei si sentiva soltanto un soffio di voce, poi dei colpi, gli strilli del bambino e il silenzio, un silenzio pesante come un macigno. Sapevo che Fosco aveva perso il lavoro, ne aveva avuto uno? Era Gianna a darsi da fare, qualche signora ogni tanto le dava i panni da lavare, qualche altra la chiamava per pulire per terra, allora Armandino rimaneva a giocare con la mia Palmira mentre io dipingevo. Quella sera però Fosco gridava più del solito, qualcosa nella sua voce mi dava i brividi. Poi scese il silenzio, un silenzio stagnante, e i brividi furono una cappa di gelo. Sarei voluta uscire, salire quel piano di scale che ci separava… che cosa avrei potuto fare? Il mattino dopo e i giorni a seguire, ogni volta che la incontravo, Gianna girava il capo, mi salutava a mezza voce e si allontanava in fretta, mi evitava? Fosco invece, non lo vidi per molto tempo, non fu una gran perdita; quando lo incrociavo era spesso ubriaco, e poi mi guardava in quel modo torvo, sapeva di me? La mia vita era cambiata da allora molti tiri di archibugio mi separavano da Roma, dalle mie adorate suorine e da mio padre che ancora stentavo a perdonare. Eppure era merito suo se adesso vivevo a Firenze ed ero l’unica donna ad essere ammessa all’Accademia. Lui mi ha insegnato l’arte del ritratto, ho respirato l’odore dei colori insieme a quello del latte, mi ha insegnato a guardare, io ho imparato a ritrarre le emozioni sui volti delle donne. Grazie a una sua al Buonarroti, ero riuscita ad avere udienza al cospetto del Granduca Cosimo De Medici, sarei entrata a Palazzo Pitti portandogli in dono un quadro. Pensavo di dipingere ancora Giuditta e Oloferne, cambiando alcuni particolari. Immaginavo di continuo l’espressione del volto dell’eroina, era diventata un’ossessione per me, volevo un volto nuovo, diverso da quello della modella utilizzata tante volte. Pensavo di continuo al quadro, vedevo la scena come se stesse accadendo sotto i miei occho. Giuditta con la spada appoggiata alla spalla, ancora sporca di sangue, il viso e il collo illuminati da una luce ambrata, secondo lo stile del maestro Caravaggio.

La fantesca in primo piano davanti a lei, ritratta di schiena e illuminata dalla stessa luce, il profilo del volto appena visibile, quasi immerso nel buio, entrambe guardano nella stessa direzione. Giuditta la trattiene con una mano sulla spalla, ascoltano qualcosa la nel buio. Abra tiene al fianco una cesta con la testa di Oloferne, in perfetta diagonale rispetto allo sguardo delle due donne. Sarebbe piaciuto questo quadro al Granduca? Lo avrebbe fatto appendere nella galleria del palazzo?

Un pomeriggio di pioggia andai a bussare alla porta della Gianna avevo bisogno che mi tenesse Palmira, all’Accademia dove dovevo recarmi non accettavano bambini. Bussai, fu lei ad aprirmi, nella stanza c’era poca luce, e lei aveva le maniche avvolte sui gomiti e un cencio avvolto intorno al capo come quando scendeva al fiume a lavare i panni. Indugiò un poco come se non volesse farmi entrare, ma scostandosi appena la luce di una candela le illuminò metà volto il resto rimase immerso nel buio. Rimasi folgorata, quella luce e quel volto che conoscevo così bene … era lei la mia fantesca. Dietro un buon compenso mi fece da modella, era paziente, rimaneva immobile a lungo rispettando le pose in silenzio, sembrava nata per quello. Rimaneva fino a che non udivamo i passi di Fosco, allora si riscuoteva e quasi scappava di sopra trascinando il bambino. Decisi che entrambe le donne avrebbero avuto il suo volto, avrei messo in ombra il volto della fantesca rendendolo irriconoscibile, e in piena luce soltanto quello di Giuditta, questo il nostro segreto, nessuno lo avrebbe mai saputo.

 

Autore: melaniaceccarelli

Ho compiuto cinquant'anni qualche mese fa e non è stata una bella sensazione. Dal momento che il tempo passa comunque, cerchiamo di imparare qualcosa. Non ho sempre voluto scrivere. Mi sembra importante dirlo subito perché forse questo fa di me una aspirante scrittrice un po' anomala ed è bene essere sinceri, se si apre un blog. Ho fatto un sacco di cose, fino ad ora, compresi sette traslochi nella mia vita, fino ad ora, cosa che implica che, a questo punto, io non abbia più paura di niente. Ho scritto un libro sulla mia esperienza in Brasile, dal titolo Un figlio in prestito. E' un romanzo, non racconta niente di epico o di particolarmente coraggioso. E' solo un romanzo.

4 pensieri riguardo “Il volto”

  1. Hai descritto molto bene quando un pittore, in questo caso una pittrice, sceglie quale sarà il soggetto del suo quadro, sia questo un paesaggio o una persona. L’intravedere la figura della donna sullo sfondo nero e sceglierla come modella, mi è particolarmente piaciuta. In lei forse, la pittrice (AG) oltre al fisico ha colto la disperazione, la rabbia interiore e l’impotenza. Brava.

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  2. Mi è piaciuta l’atmosfera, la storia parallela tra arte e contemporaneità, la donna che ahimè resta ancora oggi oggetto su cui posare uno sguardo di denuncia.

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  3. Lo sviluppo narrativo di questo breve racconto è particolarmente interessante: viene descritto l’atto creativo di Artemisia Gentileschi che progetta il suo secondo Giuditta e Oloferne, intersecandolo con la storia una giovane donna oltraggiata dal marito, un fosco figuro di nome e di fatto. Ne risulta una storia scritta su due piani, quello storico-artistico e quello interiore dove si descrive la sofferenza esistenziale di colei che sarà scelta come modella per Giuditta e la sua serva. Era difficile amalgamare questi due prospettive narrative, ma Paola Macelloni ha dato vita a un testo credibile che all’analisi estetica del quadro aggiunge una dimensione umana che appartiene al passato ma si riflette sul nostro quotidiano.

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